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E’ ormai notte fonda e tutto è solo un ricordo, ricordo che però non arriverà mai ad essere lontano, che anzi si fonderà con altri giorni ed
altre ore pur rimanendo per sempre altro, per sua natura terribile.
Le ore hanno fatto da spartiacque e adesso non rimane che compilare qualche modulo prima
di cercare conforto nel buio.
Perché non c’è altro che si possa fare. Non più.
Soltanto una manciata di ore prima Luca era stordito dal profumo del Ponentino. Gliene
avevano parlato gli occhi pieni di pagliuzze dorate di una ragazza romana, che
quella sera riflettevano il fiume di una città che non era la sua, quella sera
, forse l’unica, in cui lui non sapeva ancora che l’avrebbe amata fortemente.
Gli occhi di Mia raccontavano le contraddizioni e gli odori
di una Roma che non l’avrebbe lasciata mai in pace, che sarebbe rimasta sempre
tra la sua lingua e i suoi denti, nascosta dietro ad ogni parola.
Ma fino a quella mattina di maggio lui non era riuscito a
capire davvero il senso di quella città.
E invece aveva voglia di capirla, a fondo, perché farlo avrebbe significato entrare in
lei ed era l’unica cosa che desiderava davvero.
Così, l’invito al matrimonio di un amico d’infanzia di Mia, gli
sembrò l’occasione perfetta per conoscere quelle due strane e nuove creature:
una donna e la città che l’aveva vista crescere.
“Porta anche Lolli”
disse lei istintivamente mentre prendevano un caffè
pianificando il viaggio e in quel momento a Luca non sembrò così folle l’idea
di affrontare 600 km con una donna che conosceva da poco tempo, pur essendone già
dipendente e con un bambino di 3 anni che invece dipendente lo era da lui, dal
suo papà, nonostante le gambette corte
ed incerte lo portassero spesso lontano, ad esplorare con sguardo curioso quel mondo troppo grande per i suoi
occhi piccoli.
Giunti nel casale dove di lì a poco si sarebbe svolta la
cerimonia i tre si prepararono: lui perse parecchio tempo nel provare ad
infilare le scarpe eleganti al piccolo, tanto che alla fine optò per le solite Kickers ormai
sformate e lei per caricare di eyeliner nero i suoi occhi, consapevole però che
non era c’era bisogno di quello perché lui ci si perdesse dentro.
E così ebbe inizio la serata tra cibo, vino, musica e
chiacchere.
Luca ascoltava rapito i racconti di Mia che lo inondava di
ricordi descrivendogli ogni angolo di quella città che osservavano dall’alto
della terrazza: lavori, primi appuntamenti, strani incontri, la sua famiglia, il
suo gatto, tutto gli appariva familiare.
Le parole di lei lo trasportavano
placide sul fiume di quella vita in cui lui non era nemmeno pensiero.
Si distraeva solo per controllare Lolli che curioso si
aggirava tra i tavoli, mangiava servendosi con le mani sporche di terra direttamente
dal buffet e beveva grandi sorsate di succo di frutta nonostante la mamma e
cioè la sua ex compagna, si fosse raccomandata di non fargliene bere troppo se
non voleva accompagnarlo in bagno ogni 5
minuti.
Ma Mia era così interessante e la sua scollatura così
accogliente che Luca facendo sì con
la testa ad ogni sua frase, si immaginava nell’atto di appoggiare l’orecchio al
suo seno, per sentire il suo respiro innalzarsi, fino ad arrivare con le labbra lì dove lei
avrebbe avuto un sussulto.
“Papà, posso andare
giocare coi pagliacci?!”
Luca si voltò schiarendosi la vista che il Pinot Grigio gli aveva reso
annebbiata e in pochi secondi mise a
fuoco due clown: una ragazza alta e magra e un ragazzo di media altezza.
Il trucco era perfetto e così l’abbigliamento e come da tradizione i due non parlavano ma
comunicavano a gesti e grandi sorrisi.
Solo lei, in via del tutto eccezionale infranse la regola
del clown ed usò la voce per chiedere ai genitori se i bambini potevano seguirli per giocare insieme, una sola breve frase e poi riprese quel linguaggio sfarzosamente silenzioso fatto di passi
lunghissimi e gesti ampi.
Così Lolli insieme ad altri 5, 6 bambini seguì i due e Luca
riuscì a vedere il punto esatto in cui si sistemarono: i bimbi in cerchio e i
due clown davanti a loro, pronti ad intrattenerli con palloncini che di lì poco avrebbero preso la forma di
cani e spade e giochi che li avrebbero fatti urlare di gioia e saltare
dall’emozione.
Nell’andare via rumorosamente formando uno squinternato
trenino che gli ricordò i Bimbi Sperduti di Peter Pan, Luca notò che il clown
maschio si voltò e gli rivolse uno sguardo leggermente più lungo del normale,
lui lo sostenne assumendo un’espressione
seria ed incuriosita e l’altro distese la bocca lasciando scoperti dei denti
giallissimi.
Una specie di ghigno traverstito da sorriso che lo fece
rabbrividire per un attimo.
Si avvicinò la sposa, una specie di fata degli elfi, scalza
con morbidi boccoli castani lungo le spalle nude
“i ragazzi sono
bravissimi, vedrai il tuo bambino si divertirà moltissimo. Lei ha già lavorato
al matrimonio di mia cugina. Avete assaggiato la crema fritta? È favolosa.
Divertitevi ragazzi, a dopo”
disse tutto d’un fiato, da copione, come avrebbe detto a
prescindere dall’interlocutore, come quando in un giorno sognato così a lungo ci
si ritrovava a dover parlare con tutti e cento gli invitati, con o senza voglia.
Luca apprezzò il gesto ed anzi si sentì rassicurato dalle
referenze dei due ragazzi, Lolli era piccolo e scapestrato e lui sperava di non
dover litigare con nessun genitore, non dopo il fine settimana scorso quando
dovette staccare il figlio dalla guancia di un compagno di giochi colpevole di
avergli preso una macchinina.
Mia si era spostata a parlare con un tipo alto e ben
piazzato e Luca paziente ne aspettò per un po’ il ritorno continuando a bere e facendo fare ai suoi occhi la spola tra lei e
il gruppetto di bambini urlanti e pensando a quale potesse essere il motivo che
spingeva degli adulti a doversi vestire da pagliacci per far divertire dei
piccoli indemoniati e poi di nuovo tornava
a Mia che con una mano teneva il bicchiere e con l’altra giocherellava con la
collana e rideva e si spostava col corpo in avanti e poi rideva ancora
mettendosi la mano davanti agli occhi e di nuovo parlava fitto fitto con il
tipo alto.
“Andiamo a fare un
giro nel parco?” le chiese, avvicinandosi e lanciando uno sguardo che non
lasciava speranze al coraggioso intruso.
Lei sorrise come a dire “sapevo
lo avresti fatto” presentò i due, si congedò e prendendolo sottobraccio si allontanò con lui verso il parco.
Passarono vicino ai bambini e Luca disse a Lolli di non
muoversi e rimanere sempre con i pagliacci, lui sembrò averlo capito ma lo
spettacolino in quel momento era troppo interessante per rispondergli.
Luca e Mia si baciarono, come da copione, nascosti nel folto
di un parco che non sembrava possibile essere al centro di quella città
nevrotica eppure seduttiva.
Si baciarono ancora, si misero le mani tra i capelli e sotto
i vestiti, con una frenesia che nessuno di loro provava da tempo e in quel modo che è quasi mangiarsi
avvicinarono i loro corpi fino a sentirli avvampare.
Nessuna sorpresa, sapevano entrambi che sarebbe successo,
aspettavano solo l’occasione giusta.
Poi passò quel tempo che non si sa mai quanto è, che avresti
detto dieci minuti ed invece è mezzora oppure un’ora.
Un’ora e mezza!
Cristo, Lolli!
Luca e Mia tornarono indietro correndo e nello scoprire che
c’erano ancora quasi tutti gli invitati e che la festa era ben lungi dal
terminare, tirarono subito un sospiro di sollievo.
Ma il sollievo durò poco: si diressero velocemente verso i
due clown circondati dal gruppetto di bambini che però non era più un
gruppetto. Erano solo tre. E tra quei tre, Lolli non c’era.
Una morsa di terrore strinse lo stomaco di Luca ma con calma
chiese alla ragazza
dov’è Lolli?
Lei, che non avesse avuto la faccia truccata di bianco,
sarebbe impallidita, si guardò velocemente intorno e disse
Ehm, non lo so. Ha
detto che doveva fare pipì e che poi sarebbe tornato da lei.
L’uomo, d’istinto cercò con lo sguardo il clown maschio che
era di spalle intento a sistemare nelle borse colorate giochi ed attezzi , questo
si voltò e di nuovo gli rivolse quel ghigno che ormai non aveva più dubbi, era
malefico.
Ma l’avete mandato da
solo? Ma siete pazzi? E’ piccolo.
Ma noi non ci siamo
presi mai la responsabilità del bambino, i genitori stanno sempre qui intorno,
passano a guardare, lei è sparito! Ho pensato che il piccolo l’avesse trovata.
Nel centro esatto del triangolo che vergogna, terrore e
rabbia formavano, Luca si mise a cercare il suo bambino ovunque, col cuore in
gola, le mani sudate e la mente invasa da immagini catastrofiche e cruente, i film
horror che avevano accompagnato tante sue serate gli presentavano ora il conto
tornando sotto forma di terribili fantasie.
Tornò al tavolo del buffet, guardò vicino al palco sul quale
suonava ancora il gruppo, corse alla terrazza e premendo i pugni sopra il marmo
ormai freddo del cornicione, istintivamente guardò giù.
Nulla tra le siepi, nulla sulla strada.
Luca pianse per il
sollievo di non aver trovato il corpo del suo bambino schiantato al suolo e per
la disperazione di non sapere dove cercarlo. Gli tornò in mente il ghigno del
clown e fu lì che pensò al peggio, che si preparò a veder morire una parte di
sè. Si morse le labbra fino al sapore ferroso del sangue e le odiò e con loro odiò
il mondo in cui entrando in quelle di Mia gli fecero perdere la cognizione del
tempo e l’unica cosa che davvero contasse nella sua vita, l’unica cosa buona
che aveva fatto: quel bambino buono e curioso dagli occhi blu.
Prese il cellulare e chiamò la polizia pronto a denunciare
la scomparsa, erano passati quaranta minuti ed avevano guardato ovunque, chiesto
a tutti, pensato ad ogni eventualità.
Il brusio che si levò all’improvviso spezzando in due quel
silenzio di morte, lo fece voltare lentamente e tra le lacrime intravide due
figure: un adulto, forse una donna, che teneva per mano un bambino.
Fu lì che la mente si fece inganno e si divise in due metà
esatte: una parte era convinto di averlo ritrovato e l’altra invece voleva
credere che si trattasse di un altro bambino e non certo di Lolli.
Perché Lolli non c’era
più, era scomparso e con lui tutti i bambini della terra, insieme a i fiori
e ai fiumi.
La donna si fece più
alta, lo sovrastò con la sua figura e lui, non avendo il coraggio di guardarle
il braccio e seguirne la linea fino ad arrivare a quel bambino che di certo non
era il suo, la fissò in un punto imprecisato in mezzo al viso.
Lei aprì la bocca dicendogli
“L’ho trovato che
dormiva in una delle scatole in cui teniamo i giochi.”
Non si era mai mosso
di lì, si era addormentato.
Nel frattempo arrivò la polizia
“è lei che ha
denunciato la scomparsa di un bambino? Ci sono dei moduli da compilare”
E di seguito, come una buffa ed inaspettata risposta, arrivò
la voce del piccolo
“Papà, andiamo a casa?
“
Luca ritrovò il battito perso del cuore e la saliva nella
bocca, lo stomaco si distese ed abbracciando Lolli lasciò andare incubi o
paure.
O almeno, fu ciò che in quella profumata e surreale serata romana credette di fare, perché in realtà quell’assenza, quel buco nero lungo duemilaquattrocento
secondi, sarebbe tornata a trovarlo puntuale, ogni notte della sua vita.